Livia Ghellè, una biologa in pensione ai ferri corti con la vita, una mattina si trova in casa Mariàm Abrahàm, un'eritrea che suo figlio Luca ha assunto come infermiera-aiutante. Nessun avviso, nessuna spiegazione per lei da parte del figlio, che dietro questa sofferta decisione nasconde un segreto che pochi conoscono. E così due mondi diversi, l'Europa e l'Africa, si fronteggiano l'un l'altro, sospettosi e diffidenti.
Tra Livia e Mariàm non c'è molta voglia di cercare punti d'incontro ma la loro maternità, voluta attraverso la scienza o arrivata con la violenza, rompe le barriere per narrare storie prepotentemente vere, d'amore e di guerra, di figli perduti e poi ritrovati. Italiano e tigrino cominciano a intrecciarsi in un dialogo che non giudica ma comprende. E Asmara, città dai mille volti, restituisce immagini di gioia e dolore, che lentamente avvicinano Livia all'Eritrea.
"L'orologio è stato inventato dall'uomo per dare un ordine meccanico alle cose ma la vita, quella vera, non risponde alle regole" dice Mariàm a Livia, quando si rende conto che 'madame' vive frastornata da un tempo che non le appartiene. Livia, consapevole della sua vita imperfetta, non riesce a reagire. "Viviamo come acrobati sul filo. Al di là c'è l'ignoto e ognuno cerca di sopravvivere come può", sospira tra una sigaretta e l'altra. Sarà l'improvvisa scoperta del segreto di Luca la svolta definitiva per recuperarsi in una dimensione più autentica.
Una storia d'amicizia tra due donne, due mamme in fuga dalla violenza, incapaci di imbastire finzioni esistenziali.
Deferèt Livia, deferèt Mariàm.